Trump ha fatto affari d’oro nei paesi del Golfo, portando a casa un accordo da 179 miliardi di dollari. In cambio, ha accantonato l’ipotesi di un’invasione americana dello Yemen, rifiutando l’opzione militare sostenuta da alcuni falchi dell’amministrazione
Lo Yemen, però, resta un terreno instabile. Da anni diviso tra Nord (governato dalla milizia filo-iraniana di Ansarullah) e Sud (filo-saudita), è stato teatro di operazioni coperte di contractor americani, ufficialmente contro Al-Qaeda, ufficiosamente contro i Fratelli Musulmani yemeniti
Da quando, nel 2017, Trump lanciò la prima operazione militare nel paese, Washington ha alternato attacchi mirati a dichiarazioni di tregua, con l’obiettivo di contenere l’influenza iraniana e difendere gli interessi israeliani
Adesso Trump ha preferito il pragmatismo: mediazione con l’Iran sul nucleare, affari con gli Emirati e una tregua negoziata dagli omaniti con gli Houthi. La guerra, mai davvero finita, resta congelata grazie alla fragile intesa negoziata anche con l’Iran e sostenuta da Oman e Arabia Saudita
Ma due incognite restano: la determinazione degli Houthi a colpire Israele e il piano espansionista israeliano nella regione. L’Iran, pur offrendo segnali distensivi, non sembra avere pieno controllo sui suoi alleati yemeniti
Trump incassa un successo diplomatico ed economico, ma lascia un Medio Oriente ancora instabile. In Yemen, la pace resta una scommessa. E la tregua, un compromesso temporaneo tra guerra, geopolitica e business
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