L’originale polacco si sofferma a lungo sugli studi solaristici e le scuole di pensiero che hanno studiato (studieranno, anzi) quel pianeta misterioso.
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Parte fondante dell’architettura di quel libro è quindi la scienza degli studi su Solaris, che per Lem era un modo - credo - per rendere ancora più reale quel mondo. Che non esisteva solo nelle sue descrizioni ma nell’osservazioni di decadi di scienziati che l’avevano studiato.
La scienza solaristica potrebbe sembrare pleonastica e invece solidifica ancora di più la concretezza di quel mondo che resta misterioso fino alla fine. Più è impenetrabile, più è reale nella sua durezza e incomunicabilità.
Ci sono anche lunghi e articolati dialoghi fra i protagonisti e di azione ce n’è in verità poca. Potrebbe trattarsi alla fine di un sogno (un capitolo si chiama proprio “I sogni”), potrebbe svolgersi tutto nella testa del protagonista eppure per tutte le pagine si è lassù con lui.
Lem non racconta solo un mondo misterioso ma lo crea: con la teoria, con la religione, con i dialoghi e con il viaggio verso un pianeta che è un’origine del tutto. In esso ci si specchia, lo si teme, lo si odia, lo si combatte. E alla fine esso restituisce un’immagine muta di noi stessi.
È un’immagine che non ci guarda neanche negli occhi, come se sotto la superficie dell’oceano ci fosse il nostro analogo che tenta di urlare o che, peggio, non dice niente. Ci guarda e lo guardiamo. E vediamo un abisso da cui non possiamo distogliere lo sguardo.
Grazie ai mondi contenuti nei libri. Grazie ai libri e a quelli che li hanno scritti e li scrivono. Nella realtà (orrida, in questi tempi) si aprono ogni tanto porte che conducono altrove. I libri si aprono come porte: non è un caso.
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